Il palazzo fu costruito come palazzo vicereale nel Seicento da Domenico Fontana[1] su commissione dell’allora viceré Fernando Ruiz de Castro, VI conte di Lemos
Esso avrebbe dovuto ospitare il re Filippo III di Spagna, atteso a Napoli con la sua consorte per una visita ufficiale che non avvenne mai. Il palazzo doveva avere il respiro di una grande reggia europea, degno della seconda città dell’Impero spagnolo dopo la capitale amministrativa Madrid[2][3] e della prima per popolazione[4].
Il palazzo fu costruito nello stesso posto in cui insisteva un’altra residenza vicereale, voluta cinquant’anni prima dal viceré don Pedro de Toledo. La scelta di costruire la nuova reggia nella stessa zona in cui sorgeva la “vecchia” testimonia dunque l’importanza che aveva quella zona della città, che assicurava una certa vicinanza al porto e quindi una certa facilità di fuga in caso di invasioni nemiche.[5]
I lavori per l’erezione del palazzo andarono a rilento fino al 1610, quando divenne viceré Pedro Fernández de Castro, figlio di Fernando Ruiz e VII conte di Lemos. Nel 1616 erano completate la facciata principale, su “largo di Palazzo”, ed il cortile. Intorno al 1620 furono completati anche alcuni ambienti interni del palazzo, affrescati da Battistello Caracciolo, Giovanni Balducci e Belisario Corenzio, nonché la cappella reale dell’Assunta, nella quale lavorò ventiquattro anni dopo Antonio Picchiatti eseguendo alcuni elementi decorativi.[5]
Nel 1734, con il dominio di Carlo di Borbone, il palazzo divenne dimora reale borbonica. Il nuovo re di Napoli, in occasione delle nozze con Maria Amalia di Sassonia avvenute nel 1738, fece rinnovare alcuni ambienti interni chiamando artisti come Francesco De Mura e Domenico Antonio Vaccaro.[5] In contemporanea a questi lavori, Carlo si impegnò anche per l’edificazione di altre tre importanti regge: quella di Capodimonte, di Portici e quella di Caserta. Le opere di ammodernamento iniziate in quegli anni furono poi riprese più intensamente dal figlio Ferdinando IV di Borbone, che nel 1768, in occasione delle nozze con Maria Carolina d’Austria, trasformò la gran sala del periodo vicereale in teatrino di corte. A compiere tali lavori fu ancora una volta Ferdinando Fuga. Infine, durante la prima metà del Settecento, fu realizzata la parte verso il mare.
Nella seconda metà del XVIII secolo venne edificato il cosiddetto “braccio nuovo”, ovvero l’ala del palazzo che dà verso il Maschio Angioino, divenuta poi nel 1927 la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III.
Durante gli anni 1806–1815 fu arricchito da Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte con decorazioni e arredamenti neoclassici provenienti dalle Tuileries; fu danneggiato da un incendio nel 1837 e successivamente restaurato dal 1838 al 1858 per mano di Gaetano Genovese che ampliò e regolarizzò, senza stravolgerla, l’antica fabbrica. In quel periodo furono aggiunte alla struttura l'”Ala delle feste” e una nuova facciata prospiciente il mare, caratterizzata da un basamento di bugnato e da una torretta-belvedere. Ad angolo con il Teatro San Carlo fu invece creata una piccola facciata in luogo del Palazzo Vecchio di don Pedro de Toledo.
Con Genovese, il palazzo si poté dire definitivamente completato.[5]
Nel 1888, per volere di Umberto I, le nicchie esterne furono occupate da gigantesche statue dei re di Napoli: Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò, Alfonso I d’Aragona, Carlo V d’Asburgo, Carlo III di Borbone, Gioacchino Murat e Vittorio Emanuele II di Savoia.
Nel 1922 fu deciso (con decreto del ministro Anile) di trasferirvi la Biblioteca nazionale (fino allora nel palazzo del Museo); il trasferimento dei fondi librari fu eseguito entro il 1925.
I bombardamenti subiti durante la Seconda guerra mondiale e le successive occupazioni militari causarono al palazzo gravissimi danni che resero necessario un restauro condotto dalla Soprintendenza ai Monumenti.